Durante una riunione di lavoro con un collega, scherzando, è scappata una battuta:

Certo che sembra proprio di stare a Central Park!”.

Ovviamente le proporzioni sono altre, ma quel piccolo giardino immerso nel tran tran cittadino riesce davvero a trasmettere le stesse vibrazioni: il verde vivo, le attività delle associazioni, persone di ogni etnia che si incontrano, si parlano, si osservano.

E poi c’è quel tavolino — non uno qualsiasi — con sopra una scacchiera. Due giocatori assorti, un mondo di tattiche, tranelli e strategie pazienti che cattura sia gli appassionati esperti sia gli sguardi curiosi dei passanti.

Che bella iniziativa!”, “Finalmente il giardino è tornato vivibile!”, “Ci sarete anche il prossimo venerdì?” — sono solo alcuni dei commenti che arrivano dai frequentatori. Parole che ripagano l’impegno dei soci e delle associazioni e confermano che la direzione è quella giusta.

Perché L’Alfiere Campoverde non è solo scacchi: è benessere mentale, partecipazione, comunità. È un presidio dove professionisti della salute mentale e istruttori di scacchi collaborano per un obiettivo comune: usare il nobil gioco per coinvolgere e sostenere le persone più fragili.

Come le aiuole che tornano a fiorire, anche questo giardino — un tempo frequentato solo “dagli ultimi” — oggi mostra i germogli di una nuova integrazione, fatta di incontri, diversità e sguardi che si incrociano su una scacchiera.

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